
autore: Marianna Giglio Tos
genere: storico, di formazione, narrativa
editore: Edizioni Pedrini
anno di pubblicazione: maggio 2021
pagine: 630 formato: 15×21 cm prezzo:
note 1: le citazioni di Dante Alighieri e Virgilio si intrecciano alla trama
nota 2: all’interno, particolari delle tavole di Gustave Dorè
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trama in 4° di copertina
Il ritrovamento di alcuni diari perduti porta alla luce la vera storia di Bianca Maria, contessa di Challant e l’oscura maledizione riversatasi sul castello di Issogne. Misteri e complotti nascosti tra vecchie pagine e antichi affreschi, ci conducono nel primo Cinquecento, in un mondo ancora assoggettato alle credenze e alla religione, diviso dalle guerre tra Francia e Impero. Un viaggio tra passato e presente, tra le terre di Valle d’Aosta, Piemonte e Lombardia si rivelerà un viaggio spirituale nella terra più buia: l’Ombra dell’animo umano. “Forse per ciò ero destinata, tra tanti, a sentire i draghi di Issogne, a spingermi fin ove erano nascosti i diari. Le parole di Dante e Virgilio hanno unito Bianca e me, tenendoci strette ai confini di 500 anni.”
Un romanzo in cui passato e presente si intrecciano, a dimostrazione di quanto sia sempre viva la Storia.
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Alla ricerca di quella fiamma antica, di quell’amore che vince su tutto, che muove il sole e le altre stelle.
“L’amore vince su tutto e noi cediamo all’amore”
Publio Virgilio Marone“
L’amor che move il sole e l’altre stelle”
Dante Alighieri
Dietro le pagine del libro
La prima bozza del romanzo nacque appena un anno prima della sua pubblicazione. Le restrizione covid posero un fermo alle ricerche per il mio nuovo libro di “Una volta anticamente” e per un paio il mio lavoro restò sospeso. Iniziai a interrogarmi su cosa avrei potuto scrivere senza uscire da casa… ovviamente la narrativa era la risposta alla mia domanda. Il problema è che si tratta di un genere che seguii ai miei “esordi” e che abbandonai dopo molti tentativi falliti con le case editrici, in favore della ricerca storica che mi permise di muovere i primi passi nell’editoria. Insomma, il dubbio era se sarei ancora stata capace di “inventarmi” una storia dopo aver trascorso gli ultimi 5 anni a narrare quella vera degli altri. Intanto il 3 maggio subii un lutto un po’ particolare, quello di un caro amico d’infanzia, compagno di letture nella solitudine (vi invito a cercare l’episodio nel romanzo!). Tuttavia l’accaduto mi fece riflettere molto sulla caducità della vita (tema a me molto vicino fin da che ero bambina) e per qualche giorno il Canto XIII dell’Inferno di Dante si intrecciò stretto alle acerbe bozze narrative di un romanzo. Quel Canto della Divina Commedia è quello che più amo e più mi rappresenta, mi accompagna – a volte come un sogno, altre volte come un incubo, fin da quando lo scopri in seconda media. Ormai è inutile negarlo, quel caro amico perduto era un albero. Ma siccome il 3 maggio è anche il giorno in cui festeggio il ritorno al Passo Borgo (gli appassionati nel “Dracula” di Stoker mi capiranno), un altro elemento andò a influenzare l’ideazione della trama. Ero consapevole che ormai la Storia fosse parte di me, che per quanta immaginazione avessi potuto (o sarei riuscita ad) usare, non sarei stata soddisfatta senza una buona parte di verità storica. L’ideale dunque era di partire da una base a me nota, magari qualcosa che avessi già studiato/fotografato per i libri della casa editrice.
Non dovetti cercare molto perché tra tutti i luoghi e le storie trattati, una mi era rimasta impressa, come marchiata a fuoco: il castello di Issogne. Sono moltissimi gli elementi autobiografici nel romanzo, l’impatto con la fontana del melograno ed i suoi draghi accadde nella realtà esattamente come è narrato nel romanzo. Quel castello è veramente un luogo misterioso, sarà per l’albero con i draghi, sarà per le centinaia di graffiti lasciati sui muri (vere pagine di pietra)… cercai la stessa sensazione nelle biografie dei personaggi legati al castello. Mi occorreva una storia con qualche lacuna, così da permettermi di unire la Storia all’immaginazione. Bianca Maria Gaspardone, prima moglie del Conte René di Challant giunse come un acquazzone estivo, un fulmine a ciel sereno. Compresi subito che fosse perfetta, ciò che mi occorreva. Approfondendo la sua biografia mi accorsi che anche i punti ufficiali sono in realtà intrisi di mistero e incertezza. Oltretutto morì di morte violenta, giustiziata secondo degli atti subito (e stranamente) andati perduti e molti oggi asseriscono di aver visto il suo fantasma nel castello di Issogne o in quello sforzesco di Milano, ove fu decapitata. Ma devo ammettere che non mi sarebbe mai venuto in mente (nonostante la personale ricorrenza del 3 maggio) di trasformarla in un vampiro se non fosse che l’ultima cronaca storicamente riconosciuta e rilasciata da Antonio Grumello, cronista dell’epoca, l’avesse descritta da morte come sembrasse “ancora viva”.Un doveroso ringraziamento è da rivolgere a Umberto Eco siccome presi spunto dal suo escamotage del “manoscritto ritrovato” ne “Il nome della rosa” per collegare il mio presente al passato di Bianca Maria Gaspardone attraverso il ritrovamento dei suoi diari e di quelli di 3 persone che si misero sulle sue tracce: Padre Solemastro (puramente inventato ma reso attendibile dai riferimenti alla medicina tipica dell’epoca), Antonio Grumello (personaggio realmente esistito e misteriosamente scomparso 3 anni dopo la presunta morte di Bianca) e Barbero (questo costruito sulla base di un sinistro messaggio inciso al castello…). A questi diari si aggiunge il mio (500 anni dopo i fatti) dunque la storia è narrata in prima persona dal protagonista del momento.Ovviamente il primo passo fu ricostruire la vera storia di Bianca Maria, relativamente agli ultimi 2 anni della sua vita. L’ambientazione si sposta da Issogne a Pavia, poi a Casale Monferrato e infine a Milano (ritornando poi ad Issogne con gli altri diari) ed ha come sfondo i conflitti bellici tra Impero e Francia (poi Lega) scaturiti con la celebre Battaglia di Pavia. Il romanzo non manca di molti riferimenti ai fatti politici descrivendo rivolte cittadine, esecuzioni e restrizioni governative rese possibili da cronache molto dettagliate dell’epoca (come quella del Guicciardini, dello stesso Grumello, solo per citarne due). Non mancano gli interventi (spesso anche importanti) a personaggi storici del calibro di Antonio De Leyva, del Marchese del Vasto d’Avalos e del Connestabile di Borbone, elementi chiave della storia italiana del primissimo Cinquecento. Sulla base di questo ho costruito la trama laddove la realtà (con le sue lacune) me lo rese possibile. Il primo mese fu dedicato alle ricerche, di qualsiasi genere (medico, alchemico, politico, etc), metà di quelle informazioni non furono neanche utilizzate per la trama ma la mia incapacità di fermarmi quando si tratta di ricerca, mi impedì di comprendere quale fosse il momento giusto per fermarsi!
Cinque narratori in cerca del finale
Questo romanzo ha 1 solo autore ma 5 narratori diversi e nessuno di essi è onniscente ma scopre insieme al lettore quel che accadrà. Ognuno di essi è alla ricerca della conclusione della storia, della sua spiegazione. Io stessa non avevo tutto ben chiaro in mente fin dall’inizio, sebbene abbia dedicato un mese alla ricerca prima di iniziare la stesura, la ricerca per la verità non si è mai conclusa, sono riuscita a scoprire qualcosa fino all’ultimo mese di stesura (la bibliografia è chilometrica). Punto insindacabile sul finale (o sui finali) fu il ritorno a Issogne, fondamentale per chiudere il cerchio. Suddividendo il romanzo in due parti, quella passata e quella presente, è chiaro che entrambe siano iniziate ad Issogne e dunque era necessario che ad Issogne si chiudessero anche per focalizzare l’attenzione sull’Ouroboros (molto presente nel romanzo) simbolo di eterno ritorno e immortalità ma anche di autorigenerazione (molto affine alla fenice) e di completamento del cammino alchemico della Magnum Opus.

Il libro che era una trilogia
Un aneddoto esilarante ma per me profondamente sofferto riguarda la consegna della stesura che credevo definitiva al mio editore, ai primi di marzo. Il tempo era ormai alle strette, dopo lunghi mesi trascorsi in simbiosi col computer così da avere il romanzo pronto per l’anno del 700esimo anniversario dantesco, fino a rovinarmi occhi e salute, passai l’inverno staccandomi dallo schermo giusto per dormire una manciata di ore. Quindi immaginate la costernazione quando in casa editrice mi fecero notare di aver scritto un romanzo di 2000 pagine. E’ doverosa una puntualizzazione: lo spazio è sempre stato un problema per me, del resto soffro un po’ di claustrofobia e questo si riflette anche nella scrittura! Quando scrivo un libro non tengo mai conto delle pagine, perché per me scrivere è come respirare, come vivere e sarebbe dunque come dirmi di respirare la metà del normale e di vivere le giornate come fossero di 12 ore anziché 24. E’ inconcepibile. Purtroppo il rovescio della medaglia è dover poi tagliare l’eccesso, una esperienza traumatica a cui dopo 5 anni e 5 libri non mi sono ancora abituata. Solitamente i tagli cui sono avvezza sono di un 20% sul prodotto complessivo. Quindi potete immaginare la mia reazione quando mi fu detto che quelle 2000 pagine dovevano ridursi a 750. Non era solo una questione fisica (la nostra tipografia non rilega volumi superiori alle 800 pagine) ma anche mentale siccome il mio romanzo fu ritenuto “troppo pieno”, un po’ già per i temi affrontati (alchimia, medicina, cristianesimo, vampirismo, storia, guerra, solo per citarne alcuni) ma soprattutto per i fatti narrati, molti dei quali furono ritenuti un extra rispetto alla trama principale. Era dunque un romanzo creato sulla mia mania della ricerca, costruito senza tener conto avrei rischiato di far perdere il filo al lettore.Ma in quel momento chiedermi di ridurre una storia di 2000 pagine a 750 fu come chiedermi di spiccare il volo o di svanire nel nulla come sotto un mantello dell’invisibilità. Le alternative proposte furono un e-book (un sacrilegio a cui non mi sottoporrò mai neanche sotto tortura, piuttosto rinuncio alla pubblicazione) e una trilogia. Sebbene la realizzazione di una trilogia sia un sogno accarezzato da tempo, non lo avrei accettato con “L’antica fiamma” per una questione di tempistiche che mi avrebbe portata a posticipare il mio omaggio a Dante all’anno della sua celebrazione. Inoltre la trama avrebbe perso molta della sua atmosfera se suddivisa in tre volumi, non è il genere di storia che possa essere frammentata.
Sono consapevole che possa sembrare assurdo ma in quel momento mi sentii veramente morire. Questo è il mio romanzo, quello in cui ho riversato i miei sogni, i miei pensieri più intimi, le mie speranze, in cui ho preso coraggio, col quale riscatto l’adolescente che dovette rinunciare al sogno di creare una magia che potesse salvare gli altri. Ma è anche il romanzo che ho realizzato rinunciando per un anno al resto della mia vita, a sentire gli amici e perfino vederli nei momenti in cui le restrizioni lo permettevano. E’ il romanzo che mi ha tenuta stretta al computer per 17 ore giornaliere, ogni giorno per 9 mesi (una vera gestazione!), a costo di rovinarmi la salute, per il quale ho studiato latino e greco, medicina e alchimia. Fu un’avventura straordinaria ma anche un notevole sacrificio… ridurre quelle 2000 pagine a 750 fu come distruggere oltre metà di quel sacrificio.Per un mese restai immersa in quelle pagine per giungere alla stesura definitiva. Alla fine notai il lato comico ma anche sorprendente della faccenda: avevo così a lungo narrato della Nigredo a cui erano sottoposti i personaggi del romanzo e paradossalmente alla fine dovetti affrontarla io stessa, liberando la trama di tutto il superfluo. Quando giunse alla stesura finale compresi quanto fosse stato sofferto ma necessario quel passaggio. E pensai che forse quel che avevo eliminato potesse perfino tornarmi utile un giorno… ho disseminato qua e là nel romanzo degli agganci per scrivere un possibile seguito. Non è detto che la trilogia non possa realizzarsi davvero.
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