
Posto che la sinistra cronaca rilasciata dal Grumello alla morte di Bianca mi avesse aperto le porte al vampirismo, una questione di quasi contemporaneità della contessa di Challant e del voivoda rumeno reso celebre dal “Dracula” di Stoker, comportò l’inserimento di Vlad III nella trama de “L’antica fiamma”, agevolata dal fatto che il suddetto fosse scomparso dalle cronache senza una morte ufficiale e ben definita. Ciò comportò dunque l’avvallamento del suo vampirismo, che è invece questione puramente leggendaria risalente al XX secolo. In realtà, nella bozza mentale iniziale, Vlad III (sotto la copertuna dell’ospite straniero V.) avrebbe dovuto essere molto più presente, così come i riferimenti alla sua terra, soggetto di un’attenta ricerca. Difatti V. risulta più sviluppato nel presente che nel passato in cui compare. Ciò è dovuto ad un cambio di rotta attuato coincidente ai primi mesi della prima stesura, volto a rendere il romanzo meno fantasioso e più attendibile. Ma soprattutto più “italiano” …ecco perché V. cedette il suo ruolo di guida per Bianca Maria a Dante e Virgilio, creando così una sorta di legame letterario nell’arco di 500 anni, tra la protagonista del passato (che scrisse i diari) e quella del presente (che li ritrovò).
La questione del vampirismo va presa con le pinze. Mi dispiacerebbe se “L’antica fiamma” fosse giudicata una storia di vampiri,perché non lo è assolutamente, almeno secondo il comune pensiero. Prima di tutto il tema va contestualizzato ad un’epoca in cui la gente credeva davvero ai vampiri, così come alle streghe, ai lupi mannari, al diavolo ed era assoggetata alle credenze sovrannaturali e alla religione. Inoltre molte malattie erano ancora sconosciute perché i processi scientifici erano ancora acerbi e teniamo conto che ancora nel 1500 ci si rivolgeva alla medicina ippocratica e galenica, rispettivamente del IV secolo a.C. e del II d.C.
L’uomo antico ha sempre trovato nel sovrannaturale le risposte che non riusciva a trovare nella scienza. Inoltre non si conoscevano ancora bene i processi di decomposizione dunque di fronte al normalissimo livor mortis, per esempio, si credeva che il cadavere si fosse levato dal sepolcro per concedersi una generosa bevuta di sangue (azzannando i vivi, ovviamente). Nel notare l’allungamento di unghie, capelli e denti nei cadaveri si riteneva che il corpo fosse ancora vivo, invece noi oggi sappiamo che l’assenza di liquidi nei tessuti li induce a ritirarsi (gengive comprese) quindi non sono unghie capelli e denti ad allungarsi ma il resto a rimpicciolirsi.Non va inoltre dimenticato che fin dalle culture più antiche, precedenti a quella romana e greca, l’uomo ha sempre creduto che i morti conducessero una vita nell’aldilà, speculare a quella avuta in vita. E non mi riferisco a credenze su Inferno, Averno, Campi Elisi e Paradiso. Intendo dire che credevano veramente che i cadaveri e gli scheletri potessero rialzarsi dai sepolcri, prevalentemente per svolgere due attività: quella manducatoria e quella sessuale. Per questo si sviluppò il culto di porre vasellame e cibi nelle tombe, oggetti di uso comune insomma, ritenendo che se avessero trovato a portata di mano l’occorrente, non si sarebbero spinti fin nei villaggi e nelle case. Inoltre vi era anche l’usanza di riesumare le ossa, in determinati periodi, per lavarle e profumarle con oli e fiori così da avere la benevolenza del trapassato. Teniamo poi conto che certe malattie non ancora bene o affatto conosciute all’epoca, inducono alla catalessi quindi non era raro che una persona ritenuta morta fosse in realtà sepolta viva. Dunque i rumori che accadeva di sentire da dentro un sepolcro non erano sintomi di un vampiro ma di qualcuno risvegliatosi dal sonno profondo. Inoltre era cosa assolutamente comune utilizzare parti umane (carne, sangue, grasso e ossa) per preparare medicinali sulla base di riflessioni ora religiose ora scientifiche (per l’epoca). Ma non furono credenze solo popolane, ci sono fior di autori come il Da Vinci e Plinio il Vecchio che asserirono i poteri curativi del sangue. E noi oggi sappiamo di certe malattie che guarda caso inducono repellenza all’aglio, timore della luce e sete di sangue, anzi pare proprio che il sangue possa lenirne i sintomi. Quello del vampirismo (che noi oggi releghiamo alla letteratura, al cinema, al folklore dell’Europa orientale) fu un fenomeno registratosi fino almeno ai primi del 900, senza contare perfino qualche caso dei giorni nostri, tutti riportati nel romanzo, a partire dai casi trattati nella celebre dissertazione di Calmet.
Ciò che mi preme specificare è che, per quanto oggi si conosca una, anzi più risposte razionali agli avvistamenti di vampiri che caratterizzarono i secoli passati, questi furono una realtà innegabile, che causò veramente giustizie sommarie, inchieste dalle autorità militari e religiose, pandemie. Perché può anche essere stato irreale il vampiro che si dichiarava di aver visto ma era reale la paura della gente, il fatto che andasse nei cimiteri a dissotterrare cadaveri e bruciarne i corpi. Vorrei sottolineare che il vampiro in questo romanzo non è usato come in un classico romanzo gotico, non è una storia di vampiri come ci si potrebbe aspettare, non c’è fedeltà ad uno stereotipo letterario. Quanto accaduto con il covid (una malattia sconosciuta che ci ha colto impreparati, esattamente come accadde ai nostri avi con malattie oggi conosciute e curabili) e la solitudine o restrizione sociale cui ci ha obbligati mi hanno suggerito di utilizzare il tema del vampirismo non nella tipica chiave letteraria ma su un piano più personale, umano, riflessivo. E collegandomi al pensiero (fulcro del Romanticismo, alla fine del XVIII secolo) di una condanna trasformata in opportunità. Molti autori e artisti famosi (nel romanzo è molto presente Vincent Van Gogh) fecero della loro malattia l’ispirazione per le loro opere. Io stessa non mi sarei mai rimessa in gioco con la narrativa e con un progetto ambizioso (per me) come “L’antica fiamma” se non avessi trasformato la solitudine del covid in un vantaggio per fare qualcosa, a dispetto di ciò che avevo perso. Il vampirismo risulta una spinta alla crescita personale, ma così come possono esserlo tantissime altre condizioni. Esso non compare dunque nella chiave classica della storia dell’orrore ma diventa il pretesto per un romanzo di formazione. Bianca Maria si trova a compiere un breve viaggio tra Ducato di Savoia, Marchesato di Monferrato e Ducato di Milano ma in realtà c’è un secondo viaggio molto più importante che si trova a compiere, quello interiore, quella nella terra più buia: l’Ombra dell’animo umano. Tutti gli elementi intrecciati e sviluppati alla trama sono ora indizio, ora spinta, ora insegnamento alla crescita personale.